Pensare al modello italiano di pascolo per le bovine.
Perché?
Come l’esperienza insegna, quando si tratta di Europa, molto spesso i modelli che diventano un riferimento per tutti arrivano da nord. Facile fare polemica spicciola, ma la realtà è che nella maggior parte delle situazioni questo accade perché di modelli alternativi, di controproposte, di idee in opposizione su cui sviluppare il dibattito e il confronto non ce ne sono, o sono pochi e mal proposti.
Così finisce che chi va in campo organizzato, allenato, con idee chiare sul tipo di gioco da fare vince, perché l’avversario arriva in campo all’ultimo momento, trafelato, con giocatori che devono improvvisare.
Faccio questo noioso preambolo perché anche nella definizione di come debba essere una stalla di vacche da latte nel prossimo futuro potrebbe aprirsi l’ennesima partita.
Non mi riferisco alle normative, che pure ci sono e incidono.
Mi riferisco a tutto ciò che normativa non è, ma non per questo è meno importante e vincolante. Ossia a quell’idea di stalla, quell’immagine di allevamento che viene tratteggiata dalle varie associazioni internazionali di impronta più o meno moderatamente animalista.
Certo, non fanno leggi, non scrivono normative, ma definiscono degli standard e danno certificazioni che, non di rado, assumono una importanza anche superiore alle normative. Perché queste “bollinature” sono la via obbligata per accedere a mercati sempre più importanti, per volumi e valori. Figuriamoci poi per una realtà come la nostra che vive di Dop e di esportazioni.
Bene, continuiamo. Il modello ideale di allevamento che ne scaturisce pesca molto da situazioni classiche del nord Europa, con un tema su tutti: il pascolo. Pascolo che poco alla volta sta diventando il paradigma di ogni benessere vero o presunto.
Niente pascolo? Allora non c’è benessere, questo è il concetto.
Ora, se questo può avere un senso in zootecnie del nord dove la terra c’è e il pascolo è una cosa storica, abbordabile, fattibile e anche consigliabile, il problema nasce se se ne fa un dogma generalizzato, dalla Svezia a Pantelleria.
Ecco perché ci si deve muovere. E cominciare a proporre nuovi modelli, validi per le nostre realtà, che uniscano tradizione e innovazione. Nessuno contesta l’utilità di uno spazio di libero accesso esterno per le bovine, ovviamente. Ma va contestualizzato e definito in un modello dove spazio esterno e edificio coperto sono un tutt’uno che garantisce tutto il benessere desiderabile per le bovine.
Mi spiego meglio. Il modello italiano non potrà mai, nella generalità dei casi, considerare il pascolo nel senso dato nelle zootecnie del nord. Non c’è la terra, per cominciare. Ciò non toglie che sia cosa buona e giusta definire (e raccontare) un modello di azienda dove sia la regola avere uno spazio di libertà per le bovine, di movimento, di massimo benessere, durante il loro ciclo di allevamento. Possibilmente senza complicare troppo la gestione complessiva e l’organizzazione degli spazi, e con possibilità per quasi ogni stalla di realizzarlo.
Potrebbe essere la fase di asciutta questo momento.
Ecco allora che un tassello importante del modello italiano potrebbe proprio essere l’asciutta libera, con superfici minime definite per capo. Si darebbero almeno due mesi di movimento alle bovine, l’effetto funzionale sarebbe assicurato, e anche l’effetto cartolina per il consumatore e per l’animalismo osservante e socialeggiante.
Tutto sommato non sarebbe impossibile per la maggior parte della stalle recuperare un’area da sottrarre ai seminativi e dedicare a tale scopo. Del resto a questo ci sono già arrivate molte stalle e le impressioni sono tutte ottime.
Non dovremmo nemmeno chiamarlo pascolo, per non legarci a termini che generano poi equivoci. Magari area benessere, spazio relax, zona riposo potrebbero essere più acconci per indicare questa particolarità della stalla italiana.
Dopotutto, chi l’ha detto che il benessere animale sia solo pascolo duro e puro? O, meglio: c’è chi l’ha detto, c’è chi lo dice, ma ciò non toglie che non si possa proporre anche qualche cosa di diverso, più fattibile per noi e più facile da inserire nelle aziende esistenti.
Partire dall’asciutta libera potrebbe essere un primo tassello del modello italiano di qualità e benessere.

