Se l’ipocalcemia (clinica o subclinica) non è la madre di tutti i disordini metabolici che possono manifestarsi nel post parto poco ci manca.
Questo il condensato di un recente convegno dedicato, appunto, alla questione calcio.
E il perché l’ipocalcemia abbia un ruolo così centrale è presto detto. L’alterata funzionalità del muscolo liscio condizionata dalla insufficienza di calcio porta a ridotta motilità di rumine e intestino, e quindi a dislocazioni abomasali, ridotta ingestione di alimento, riduzione delle riserve adipose, crescita del rischio chetosi.
Ma induce anche una ridotta motilità uterina, cosa che favorisce la ritenzione placentare, rallenta la involuzione uterina, cresce il rischio di metriti, peggiora la prestazioni riproduttive, che già sono messe a dura prova sul versante del deficit energetico condizionato dalla ridotta assunzione di alimento.
Aggiungiamoci poi una diminuzione della efficienza immunitaria collegata sempre a una insufficienza di calcio e il quadro è completo.
Ovviamente una bovina in questa situazione farà anche meno latte.
Insomma, se nei primi giorno dopo il parto i potenziali problemi metabolici sono così tanti, guardare al calcio con sospetto non significa essere dei gretti calciofobici, ma semplicemente realisti.
È quindi fuori discussione che la quantità di calcio ematica nel post parto debba essere mantenuta a livelli sufficienti per avere buoni risultati.
Ma questo è tutt’altro che facile.
Come spiegava il noto professore, infatti, non è solo questione di inserire calcio, o più calcio, nella dieta.
La cosa in sé non sarebbe impossibile da farsi nella razione giornaliera, ma ci sono vari ostacoli da superare.
Il primo è il coefficiente di assorbimento del calcio a livello intestinale, che si attesta sul 38%. E, probabilmente, anche un po’ meno, dato che diminuisce con l’età dell’animale.
Altro fatto da considerare: razioni come le attuali per vacche ad alta produzione sono giocoforza razioni a veloce transito, ma proprio per questo i tempi per l’assorbimento del calcio si riducono.
Già questo è un problema, ma c’è dell’altro. A non essere efficienti sono spesso anche i recettori del paratormone (l’ormone che mobilizza il calcio dalle ossa) a livello osseo.
Da cosa deriva questa inefficienza? Da vari fattori. Da un eccesso di calcio e da una carenza di magnesio nella dieta di asciutta, per cominciare: calcio in eccesso e magnesio in quantità insufficiente riducono la secrezione di paratormone e riducono la sensibilità dei tessuti ad esso.
C’entra poi anche il pH del sangue. Una situazione di alcalosi metabolica conseguente a una dieta cationica, per un eccesso di ioni sodio e potassio nella dieta di asciutta, è sfavorevole, dato che desensibilizza i recettori per il paratormone.
Condizione non difficile da verificarsi, se non si controlla bene quel che finisce nella razione di asciutta: sodio e potassio sono presenti in quantità crescenti nelle diete delle vacche da latte. Il sodio è un legante molto frequente di altri minerali e il potassio, che si fissa nei terreni concimazione dopo concimazione, è contenuto in quantità in aumento non solo nei fieni e nell’erba, ma anche nel silomais.
Stando così le cose, che fare per prevenire il problema dell’ipocalcemia post parto?
Già si sa, ad esempio, l’importanza della dieta di asciutta e dei foraggi utilizzati. Bisogna conoscere esattamente il contenuto minerale dei foraggi di asciutta ed effettuare una correzione se c’è squilibrio usando sali anionici, ma solo se il pareggiamento si può ottenere con limitate quantità di questi sali, per non rischiare di rendere poco appetibile la razione.
Quello però che sta diventando il punto centrale nella questione ipocalcemia, date le produzioni medie nelle stalle attuali, è la messa a disposizione di quantità aggiuntive di calcio per la bovina al momento del parto.
Un ambito dell’integrazione dove l’efficacia dei boli ruminali a rilascio graduale è sempre più evidente.
Un prova effettuata su due gruppi di bovine, pur con una dieta regolare per il bilancio anioni/cationi, ha mostrato un guadagno di quasi 3 kg di latte al giorno rispetto a bovine del gruppo controllo senza integrazione.
Le cose poi possono ulteriormente migliorare se l’integrazione non si limita al calcio, ma è completata da magnesio, pool vitaminici, antinfiammatori. Una seconda prova di campo con un bolo così composto ha evidenziato miglioramenti significativi non solo a livello di produzione lattea, ma anche nella sanità delle bovine, con una minore incidenza delle mastiti.
Questi alcuni spunti. Una cosa è certa. Per non dare un calcio alle performance bisogna dare calcio alle vacche