Quanto pesano perdite e scarti sui costi alimentari?
Quando si parla di costi alimentari – e la situazione attuale rende il tema caldo come non mai – ci sono anche aspetti che non sempre vengono considerati con la dovuta attenzione e precisione, dicono gli esperti.
Certo, i costi alimentari dipendono dai costi delle materie prime, dalla produzione di latte, che a sua volta determina il livello di ingestione di sostanza secca, e su questo tutti sono d’accordo.
Ma ci sono anche altri fattori meno noti.
Ad esempio gli scarti e le perdite. E se è vero che gli scarti è possibile che si conoscano, si vedano, si misurino, non è così per le perdite.
Eppure ci sono alimenti (e quindi costi) che sono entrati in azienda (acquistati o autoprodotti) ma non sono mai arrivati alla bocca dell’animale e quindi trasformati in latte.
Ci sono poi le vacche in infermeria, che mangiano, ma non danno latte vendibile.
Oppure le asciutte, che possono essere più o meno numerose in relazione alle vacche in latte, e alle performance riproduttive dell’azienda, con possibilità di asciutte anticipate e più lunghe del conveniente.
Tornando poi agli scarti in mangiatoia, il consiglio di un noto tecnico dato recentemente in un webinar è quello di darsi degli obiettivi.
Si può lavorare a scarti zero, ma è rischioso: significa limitare le potenzialità di assunzione di cibo da parte delle bovine.
Può succedere che si arrivi a scarti zero qualche volta in un mese, ma deve essere un fatto sporadico.
Un range di riferimento potrebbe essere quello del 3-5% di scarti, arrivando al 5-7% per vacche di alta produzione.
Quello che è importante è comunque che questi dati siano costantemente monitorati, per non essere dati fuori controllo, che pesano, costano ma non lo si sa.

