In controtendenza rispetto al resto del mondo, dove si registra una crescita degli acquisti di concimi per spingere al rialzo la resa agricola dei terreni, l’Italia ha fatto registrare, negli ultimi anni, una diminuzione nella produzione di fertilizzanti. Sono attualmente 370-380.000 le tonnellate annue di fertilizzanti prodotti in Italia, e di questi l’azoto costituisce più dell’85%.
La diminuzione della produzione industriale si accompagna a una minore richiesta di fertilizzanti chimici da parte delle campagne. In base a dati Istat, tra il 2004 e il 2013 l’impiego di fertilizzanti nei campi è sceso infatti da 5,3 a 4,1 milioni di tonnellate. Il consumo di azoto, ad esempio, è calato del 22% rispetto al 2003.
Da tutto questo si possono trarre alcune riflessioni importanti.
La prima è che la nostra agricoltura si fa più accurata, con un ricorso crescente a strumenti di precisione che, abbinati a piani agronomici dettagliati, consentono l’ottimizzazione del concime distribuito e quindi una minore quantità acquistata a parità di risultato.
Cresce inoltre la razionale utilizzazione delle deiezioni delle stalle e lo sfruttamento dei liquami in maniera ottimale, facendo tesoro delle loro dotazioni fertilizzanti e puntando su sistemi di raccolta, stoccaggio e distribuzione tali da massimizzarne l’efficacia fertilizzante.
Risultato: minore impatto ambientale e risparmio sui costi di acquisto dei fertilizzanti.
Ora: è impensabile un produzione di latte economicamente soddisfacente senza una campagna condotta razionalmente. E proprio alla gestione del terreni e alla possibilità di produrre di più, meglio e a minore costo (cominciando a non sprecare soldi per fertilizzanti non necessari) si deve puntare se tutto quello che è stato fatto per abbattere i costi di produzione del latte in stalla è già stato tentato.