I dati delle demografia in Italia sono drammatici. Lo sono per tutto l’Occidente, ma da noi sono anche peggio. L’Italia è il Paese al mondo con il tasso di natalità peggiore, dove i giovani scappano sempre più numerosi.
Pochissimi bambini nati, ben al di sotto del tasso di sostituzione considerato dai demografi.
È un dato che dovrebbe fare riflettere anche tra i tanti apprendisti stregoni che pontificano su ricette per ridare slancio all’economia, puntualmente smentite dalla realtà.
La verità è che sono i giovani che hanno lo spinta vitale a crescere e costruire, i vecchi conservano e non rischiano.
L’economia cresce sotto la spinta dei primi, ristagna se prevalgono le paure dei secondi.
Così il Paese invecchia, si ritrae, impoverisce. Come una pozzanghera sotto il sole d’estate.
Questo è un dato di fatto, non è un’impressione o un’opinione politica.
Però, se cresce la popolazione anziana, cambiano in Italia anche i consumi alimentari e le preferenze.
Non è un fatto marginale per chi produce un alimento basilare come il latte, che non solo è il carburante dell’infanzia (qui, si è detto, siamo messi male), ma è anche una miniera di sostanze utili per l’alimentazione di ogni età, compresa quella più avanzata.
Per questo può essere interessante considerare con attenzione una fascia di consumatori – gli anziani – destinata ad aumentare: una fascia che non punta alla quantità, che ha esigenze nutrizionali particolari e, soprattutto, possibilità economiche per pagarle.
Se i consumi di latte continuano a diminuire in Italia non sarà tutta colpa della sfortuna: forse non c’è il prodotto che ci vorrebbe.
la questione riguarda l’industria, ovviamente, che deve essere più rapida e sveglia a cogliere tendenze nuove trend in evoluzione, ma anche i produttori di materia prima, per dirla genericamente.
Nel prossimo futuro il produttore di successo non sarà soltanto un generico produttore di latte indifferenziato, ma un produttore che ha saputo specializzare la sua produzione, differenziandola e occupando una nicchia.