È l’interrogativo di questi giorni, con il moltiplicarsi delle lettere di caseifici e stabilimenti i lavorazione che invitano a ridurre la produzione per non appesantire una situazione che si aggrava, purtroppo, col passare delle ore.
C’è un avvitamento tragico di cattive notizie sul fronte della lotta al virus: circa il risultato delle misure prese è presto per capire se e quando cominceranno a dare i risultati sperati. Ma si sviluppa in peggio anche la situazione economica, con l’Unione Europea che sempre di più si dimostra matrigna più che madre e la Bce un bel salvagente di pietra a disposizione di chi annaspa. C’è persino una esercitazione militare che coinvolge decine di migliaia di uomini e una infinità di mezzi ad aggiungere inquietudine e incertezza.
Dunque no, non sarà un passeggiata.
Ma qui si parla di latte e dintorni, e quindi torniamo alla questione. E la questione è che c’è una marea di latte che rischia di travolgere tutto. Perché l’export europeo è precipitato, ma non è quello che rischia di fare lo tsunami. Il problema vero è che si è formata una strozzatura nella nostra filiera.
Le industrie sono in grossissima difficoltà, all’interno, per la disponibilità di personale (pensate a cosa significa avere positivi e quarantene), e all’esterno, perché in questa situazione sospesa le vendite seguono logiche di guerra, con acquisti rivolti alla lunga durata e alla conservazione nel tempo.
Ristoranti, mense, bar chiusi. E poi chi va a far la spesa riempie il carrello perché di tutto a voglia tranne che di tornare troppo presto. Latte e prodotti freschi, a scadenza breve, in tutto ciò sono le prime vittime. Azzoppata la filiera del fresco si libera una quantità di latte che non trova utilizzo e appesantisce tutto.
Anche il resto dei consumi ne risente: le code ai supermercati non traggano in inganno, perché il rischio reale è che l’accoppiata crisi sanitaria e crisi economica producano uno shock nei consumi epocale.
Insomma, si può dare tutte le colpe all’industria se si vuole – e non sono pochi quelli che partono con questo riflesso condizionato ogni volta – ma ci vuole anche equilibrio nel guardare al realtà cercando di essere obiettivi nel leggere la situazione.
Detto ciò, veniamo alla questione di apertura. Ridurre la produzione? Penso abbia senso, perché è sempre meglio fare prima volontariamente quello che poi magari si è obbligati dalle circostanze a fare in misura maggiore.
Ad esempio togliendo dalla produzione i capi problematici, anche se produttivi, si può fare un passo avanti nel miglioramento funzionale e sanitario della mandria. Ci sono situazioni di sovraffollamento in certe stalle: agire ora riducendo il numero di animali potrebbe mettere in condizioni vantaggiose per quando partirà il caldo. Vuol dire rallentare ma in maniera intelligente, mettendosi nelle condizioni di migliorare la mandria presente nel suo insieme,
Anticipare la messa in asciutta per le bovine già prossime è un altro passo possibile che si può intraprendere con una certa facilità.
Quanto all’agire sul razionamento, meglio limitarsi a una riduzione dei nutrienti solo sulle bovine lontane del picco produttivo, consigliano gli esperti, perché sarebbe pericoloso andare a togliere “carburante” quando il metabolismo sta spingendo al massimo per fare latte. Il risultato sarebbe danneggiare la bovina e continuare comunque a fare latte.
Oppure si può continuare come se niente fosse, senza fare nulla, aspettando che siano altri a ridurre, con la possibilità concreta che tutto collassi e scatti il si salvi chi può.
Questo per l’oggi.
Ma per il futuro la questione delle importazioni deve essere affrontata in modo nuovo.
La drammaticità di questi giorni dimostra quanto sia stato sciocco smantellare intere filiere produttive.
E, per la tenuta della filiera del latte italiana, non è più possibile che l’Italia sia il tombino d’Europa dove tutto arriva e tutto deve essere accolto con remissiva obbedienza.
Bisogna darsi l’obiettivo della autosufficienza.
Si deve trovare un recinto difensivo per tutto il latte italiano, non solo quello delle Dop: con la comunicazione perché il consumatore chieda latte italiano, con politiche fiscali che incentivino e premino le aziende che utilizzano solo latte italiano, con controlli rigorosi perché i furbetti sono sempre attivi e il prodigio della trasformazione in latte italiano di qualsivoglia liquido bianco è cosa non impossibile a certi giocolieri.
E, a proposito di giocolieri, le vicende attuali dimostrano che l’Europa sarà anche un mercato libero, ma che ci sono norme rigide e norme elastiche, chi obbedisce. e chi interpreta. Chi blocca le mascherine anti contagio nel momento di necessità dovrebbe, ad esempio, anche tenersi il proprio latte in eccesso.
Produrre meno oggi per produrre di più domani ha senso. Produrre meno oggi per chiudere domani no.