Non basta più produrre come si è sempre fatto: bisogna farlo con sempre maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale ed etica. Lo chiedono i consumatori e lo chiede la Grande distribuzione.
Bisognerà farlo, certificarlo e comunicarlo. E potrebbe diventare una via per recuperare valore, sia che si tratti di latte che di formaggi.
Le stalle dovranno (devono) adattarsi a scenari in rapido mutamento, accelerando su temi caldi come il benessere animale, la riduzione del consumo di antibiotici, la sostenibilità ambientale, l’impronta di carbonio, la miglior produzione foraggera possibile.
E va fatto un grande lavoro di comunicazione per rendere noto al consumatore tutto quanto si farà – e già si sta facendo – su questi temi. Una comunicazione che deve poter contare su certificazioni che ufficializzino modalità “etiche” di produzione.
In questo senso industria e distribuzione si stanno muovendo rapidamente e presto chi produce latte dovrà poter dare garanzie precise e misurabili su benessere animale, sostenibilità ambientale, ridotto consumo di antibiotici, per citare i punti più sentiti e quelli che una recente indagine di mercato ha indicato ai primi posti tra i desiderata del consumatore per un prodotto di origine animale.
Sono linee di azione su cui il Nord Europa è già assai avviato e richiedono uno sforzo al nostro sistema produttivo per recuperare il terreno perso e anticipare il momento in cui tutto ciò verrà calato dall’alto come norma cogente. Ma non solo.
Una produzione “etica” adeguatamente certificata può essere uno strumento di marketing potente, che certo verrà usato da chi già ora è avanti nei confronti delle retroguardie.
Si devono adattare i protocolli gestionali e servono dati con i quali si possa dimostrare quanto si sostiene. Non bisogna perdere tempo nell’aggiustare la gestione aziendale eliminando le situazioni a rischio, per prepararsi ai nuovi scenari.
Non si possono più accettare nella stalla bovine stabilmente con cellule alte, che abbattono non solo le produzioni di latte, ma aumentano i costi e riducono le lattazioni che una bovina può fare nella stalla.
E il numero medio di lattazioni di una vacca nella stalla è un indice molto osservato da chi compra – e, soprattutto, da chi comprerà latte e formaggi – per valutare il livello di benessere presente in stalla.
Altro punto importante: il legame col territorio e l’elevata percentuale di foraggi aziendali utilizzati. Sono elementi importanti e hanno anche un grande valore di immagine, oltre che di sostanza. Non basta più produrre come si è sempre fatto: serve un’ossessione per la massima efficienza, la massima qualità e, ovviamente, anche la massima quantità.
Bisogna lavorare sulle rotazioni, su nuove essenze, nuovi erbai, ma soprattutto lavorare meglio su epoche e modalità di raccolta e conservazione.
Dalla digeribilità della fibra prodotta in campo passa infatti la possibilità sostenere le necessità nutrizionali della bovina con elevate quote di foraggi e minori quantità di concentrati, a tutto vantaggio della costanza di pH ruminale, della sua funzionalità e della minore dipendenza dell’azienda dall’esterno.
Insomma, il lavoro da fare non manca.
Certo, per chi riuscirà a scamparla.