Quanto è reale il problema della consanguineità e qual è la consapevolezza del problema, dai vertici della selezione alle singole stalle da latte?
Perché un incrocio a tre vie e non, ad esempio, a 2 o a 4?
Come si arriva alla definizione delle razze ottimali per il crossbreeding?
Tra le obiezioni che ho sentito riguardo all’incrocio, quella più ricorrente è che va benissimo con le F1, poi ci si perde. È così?
Un’altra obiezione molto forte è questa: ho investito tanto nella genetica, per accrescere il valore genetico della mia mandria: passare all’incrocio vorrebbe dire buttare tutto a monte. Vero o falso?
Non si potrebbe ottenere nella Holstein in purezza, dato che i caratteri salute sono ormai parte importante nei programmi di selezione, quella maggiore resistenza tipica dell’incrocio?
Quanto è importante la componente “carne” della bovina anche ai fini delle capacità riproduttive? E quanto è importante per il valore delle bovine a fine carriera?
Non potrebbe esserci il rischio di imputare alla Holstein quelle che sono in realtà carenze strutturali e manageriali, e quindi affidarsi all’incrocio come fosse la panacea?
L’efficienza di trasformazione degli alimenti è attualmente una preoccupazione di pochi nelle scelte, ma ipotizzando in un prossimo futuro una spinta maggiore verso la produzione di derrate nobili per l’alimentazione umana e di sottoprodotti per quella animale, la Holstein è pronta?
Sono solo alcune domande, diciamo un assaggio, di quanto approfondiremo domani a Cremona nel dibattito, aperto a tutti i partecipanti al convegno sul crossbreeding. A disposizione c’è un importante professore universitario, l’esperienza di un’azienda americana dove sta di casa l’alta genetica Holstein ma anche il crossbreeding e l’esperienza di un’azienda italiana dove il crossbreeding è in uso da anni e anni, con tanta esperienza e tanti dati.
Comunque la si pensi, sarebbe un peccato non esserci.