È interessante osservare la cornice in cui avviene la produzione di latte israeliana per capire come un sistema zootecnico tende inevitabilmente a uniformarsi, anche nelle scelte gestionali e tecniche, alla situazione generale e alle regole che la governano
La realtà israeliana, per la sua organizzazione politico-commerciale, è totalmente imparagonabile a quella italiana.
Questo Paese è autarchico per il latte che si utilizza al suo interno. Viene definita annualmente una quota nazionale che viene quindi redistribuita tra le aziende produttrici sul territorio, che siano di tipo associazionistico come i Kibbutz, associazionistico, ma con produttori che mantengono al propria autonomia al suo interno (i Moshav) o privati produttori.
Il sistema è chiuso. Questo determina un prezzo decisamente alto, attorno ai 49 centesimi/litro, con poi i corollari di premi e penalizzazioni per titoli, in particolare si punta alle proteine) e cellule somatiche (la soglia di penalizzazione è di 215mila).
Il prezzo annuale nasce da una concertazione pilotata a livello nazionale , che definisce un prezzo in grado di soddisfare produttori e trasformatori (due grandi realtà industriali). La produzione eccedente la quota assegnata alla singola azienda oltre il 3% viene pagata un prezzo estremanente penalizzante.
Il Governo incentiva la produzione di latte estiva e per questo paga un prezzo maggiore per il latte consegnato in estate.
Con questi vincoli si organizza la produzione, passando ad esempio a dalle tre alla due mungiture qualora si stesse andando verso una produzione eccedente la propria quota.
Lo stesso avviene per la gestione delle fecondazioni, con tempi di sospensione programmati per avere una maggiore produzione di latte nei mesi estivi.
Anche la produzione di carne legata alla stalla consente ricavi interessanti, sempre in relazione alla forte autarchia in materia di produzione di alimenti e dal mercato delle carni kosher. Un vitello maschio Holstein è pagato circa 200 euro poco dopo la nascita e circa 450 euro svezzato.
Da parte governativa si stanno incentivando le unioni tra aziende, con vantaggi per chi lo fa. Le più grandi realtà in Israele vanno da 900 a 1200 capi in lattazione.
Molto penalizzante, comprensibilmente, è la questione dell’acqua.
Ogni azienda acquista l’acqua dal locale punto di depurazione. La utilizza, deve raccoglierla e pre-depurarla, quindi avviarla al centro di depurazione e riacquistarla nuovamente depurata.
Tutta l’acqua raccolta dai tetti deve essere raccolta, così come le pendenze della struttura devono consentire la raccolta e il recupero di colaticci e sgrondi.
Tornando al latte, non c’è alcuna produzione particolare paragonabile ai nostro formaggi. Si produce latte per il consumo o formaggi freschi difficilmente definibili.
Questa la realtà attuale, ma ci sono ipotesi e progetti per un allentamento della struttura dirigistica di prezzi e produzioni, con una sorta di liberalizzazione rispetto alla rigidità delle quote attuali.
Se questo dovesse accadere assisteremmo sicuramente a un’accelerazione di vari processi tutti da analizzare, cose viste da noi con la fine delle quote.
Diventerebbe inevitabile la spinta alle massima produzioni e le oscillazioni del prezzo avrebbero un peso inevitabile sui conti delle stalle, dove il livello di efficienza medio è già molto alto. Uno scenario, qualora si realizzi, che renderà interessante vedere quali risposte darà il pragmatismo dei produttori israeliani.
Riflessione: un sistema chiuso si dimostra in grado di salvaguardare il reddito molto di più di un sistema totalmente aperto, nel quale il livellamento al minimo dei prezzi è inevitabile. Ecco perché per l’Italia il sistema delle Dop è un capolavoro da difendere e rafforzare, dato che di fatto rappresenta un frammento di mercato chiuso e protetto nel mare degli scambi liberi e senza frontiere.