Analizzando i comportamenti delle organizzazioni volte alla creazione di un prodotto e, soprattutto, alla realizzazione di un utile, uno dei punti chiave dell’intera questione è la definizione di compiti, percorsi, flussi operativi precisi e standardizzati.
Tutto deve filare liscio e, per venire al punto, non devono esserci ripetizioni, doppioni, dualismi, cose fatte e rifatte, in ogni momenti si deve sapere chi ha fatto cosa, come e quando.
Questo sulla carta, ovviamente. Nella realtà i punti di intoppo sono quasi inevitabili.
E così ecco i rallentamenti, i ritorni, attività iniziate, sospese, riprese e via discorrendo.
Per questo servono protocolli operativi definiti, chiari, condivisi e accettati da tutti coloro che lavorano in azienda, con mansioni chiare, percorsi logistici ottimizzati da monte a valle, creazione di snodi gestionali dove personale intermedio possa prendere decisioni operative a fronte di imprevisti senza che tutto finisca alla figura apicale, con tutti i rallentamenti e gli ingorghi gestionali del caso.
Altrimenti c’è il rischio del “quante volte?“: quante volte è stato detto a qualcuno di fare una certa cosa in un certo modo, per essere sempre allo stesso punto di prima; quante volte si comincia, si sospende, si riprende un lavoro perché interrotti da una quantità di altre attività che si inseriscono senza una organizzazione del flusso della giornata; quante volte si comincia e si interrompe la formazione professionale, per essere sempre al livello più aggiornato di preparazione.
Vero, l’obiezione è facile: non c’è tempo e le cose da fare sono tante. Ma, proprio per questo, perché il tempo è poco e le cose da fare sono tante serve un’organizzazione, una logistica della filiera delle attività, una identificazione chiara e condivisa di mansioni e soggetti coinvolti, un ordine mentale che si rifletta in un ordine operativo.
Altrimenti il rischio del “quante volte?” è dietro l’angolo per tutti.