Quando Antonello Venditti scrisse uno dei suoi grandi successi, Sara, per quanto incredibile possa sembrare si riferiva ad una ragazza e non alla subacute ruminal acidosis, problema ruminale normalmente sintetizzato nell’acronimo SARA.
Ma forse una spiegazione c’è. Negli anni settanta la produzione della bovine da latte, in Italia come nel resto del mondo zootecnicamente più avanzato, non aveva certo raggiunto i livelli attuali e anche il peso di certi problemi, come appunto la SARA, era decisamente minore.
Di SARA si è discusso ad alto livello in un recente convegno a Piacenza, presso l’Università Cattolica, del quale vi riporto alcuni passaggi interessanti emersi.
Non già, ovviamente, con pretesa esaustiva ma, come nello spirito di questo Blog, per dare spunti che portino a un approfondimento eventuale.
La SARA viene definita come una situazione in cui il pH ruminale è inferiore al range fisiologico per un prolungato periodo della giornata.
Perché si abbassa il pH ruminale? L’abbassamento del pH ruminale è legato alle dinamiche di fermentazione della componente zuccherina e amidacea della razione. Queste dipendono da vari fattori, quali la quantità di alimento assunto, la frequenza dei pasti, la velocità di degradazione degli amidi, la capacità di assorbimento degli acidi grassi volatili da parte dell’epitelio ruminale, la presenza di tamponi, la produzione di saliva.
È molto importante quindi conoscere meglio possibile con che amido abbiamo a che fare. O, meglio, hanno a che fare i batteri amilolitici ruminali.
I fattori legati al potenziale di degradabilità dell’amido sono molteplici e comprendono il grado di vitrosità (maggiore la vitrosità, minore la digeribilità), il quantitativo in prolammine, l’available starch (valore specifico per ogni prodotto e fase di maturazione o trattamento che indica la quantità di amido disponibile), la granulometria.
Tutti questi fattori influenzano il livello di pH e si influenzano tra loro, rendendo la questione decisamente complessa.
La scelta del pH soglia non è univoca e in ogni caso il pH ruminale fluttua naturalmente in relazione ai pasti e inoltre il suo valore varia in base alla modalità di misurazione per sito anatomico e tecnica di campionamento.
Anche il periodo in cui i valori scendono al di sotto della soglia non sono stati fissati con precisione. Si può comunque ragionevolmente ritenere che il valore soglia sia una condizione di pH di 5,6 misurato nel sacco ventrale del rumine che si protrae per 3 ore.
Se in un allevamento l’acidosi risulta un problema per una piccola parte del comparto, allora molto probabilmente molti animali si troveranno in una condizione di subacidosi.
Esistono alcune alternative alla misurazione del pH, come la misurazione della temperatura ruminale, che è correlata negativamente al pH: se sale la prima si abbassa il secondo.
Un aumento della temperatura ruminale, tuttavia, può essere dovuto anche ad altri fattori, e quindi non è da sola una informazione conclusiva.
Si può allora valutare il comportamento alimentare, in quanto la SARA riduce la durata del primo pasto della giornata e talora riduce la frequenza dei pasti. Si può effettuare anche una valutazione delle feci, dato che la SARA ne modifica la consistenza. In presenza di SARA si potrà notare che le feci assumono consistenza pastosa e questa situazione si presenterà con andamento ciclico.
Come si vede la questione è complessa e richiede attenzione continua.
Dato che ogni problema ruminale produce “onde sismiche” in grado di danneggiare tutto l’organismo, minando sanità, produzione e riproduzione una base di partenza indispensabile è quindi sempre una buona razione. E, soprattutto, un buon nutrizionista.