Ci sono buoni motivi per pensare che quello che sta per partire possa essere un periodo positivo per il prezzo del latte.
Ancora non si vedono gli effetti nel prezzo pagato alla stalla, ma un trend forte che si mette in moto, a livello mondiale e con elementi di rinforzo a livello nazionale, è come la pressione del vapore in una pentola: il coperchio si oppone ma alla fine deve cedere, almeno un po’.
Vediamo.
- In Europa c’è meno latte. Dalla metà dello scorso anno la produzione europea è diminuita. E c’è meno latte a disposizione sul mercato. Questo è un fatto, il mercato ne prende atto e il prezzo del latte spot è come il rialzo febbrile misurato dal termometro che segnala un cambiamento nella fisiologia dell’organismo.
- La Nuova Zelanda, che con la sua produzione riempie una bella fetta del latte commercializzato nelle varie sue componenti sui mercati mondiali, è nella situazione di non poter aumentare la produzione o, comunque, non a livello significativo. Perché? Perché la sua è una produzione estensiva a bassi costi di produzione, per avere un prodotto a basso prezzo da vendere sui mercati più “poveri”, principalmente asiatici. È arrivata a un punto tale che un aumento di produzione ulteriore avverrebbe solo grazie alla maggiore intensivizzazione del sistema di produzione (in parte già attuato), con un riflesso sul maggiore costo di produzione e quindi perdita di competitività sui mercati dove il basso prezzo è determinante. Pertanto da questa parte del mondo non dovrebbero arrivare problemi, nel senso di grandi aumenti di produzione.
- Cresce costantemente la domanda di latte e derivati, con un trend più regolare rispetto agli alti e bassi della produzione. In una fase di quantità in vendita minori del passato la forbice si allarga e il prezzo ne beneficia.
- Torna a comprare la Cina, che ha una classe media crescente, che beve latte e consuma derivati ma, per contro, registra una caduta nel suo ambizioso programma di crescita della produzione. Quando si muove la Cina sui mercati (o quando smette di farlo) sono sempre scosse telluriche.
- C’è una crescente corsa al burro a livello mondiale. L’olio di palma è il grasso dei poveri: nei mercati emergenti il maggior potere di acquisto si traduce anche in un certo abbandono dell’olio di palma per passare al burro. Olio di palma peraltro che è precipitato nell’inferno dell’immaginario collettivo e il suo utilizzo in Italia è crollato, spingendo ulteriormente la corsa al burro. E il prezzo del burro trascina verso l’alto il prezzo del latte perché c’è latte senza burro, ma non burro senza latte (infatti si compra sempre di più latte intero in polvere e meno latte scremato).
- L’etichettatura con indicazione obbligatoria dell’origine del latte inevitabilmente produrrà una differenziazione positiva del valore del latte italiano, tanto più che il suo esordio si inserisce in un quadro di limitatezza dell’offerta.
- Aumentano le esportazioni italiane, non solo delle DOP classiche, ma anche di freschi e latte UHT. Cosa che una garanzia di italianità di materia prima e produzione potrebbe spingere ulteriormente.