Quando si affrontano viaggi impegnativi è sempre bene avere un bagaglio ricco, con tutti gli strumenti che potrebbero servire a superare circostanze impreviste.
Il viaggio di un allevamento da latte sulla strada della redditività è sicuramente – oggi più che mai, ma domani potrebbe essere anche peggio – uno dei più impegnativi e sfidanti che si possano immaginare.
Nella panoplia di strumenti che l’Homo Agricolus ha a disposizione se ne aggiunge ora uno nuovo e importante che riguarda la selezione della Frisona italiana.
Come comunica l’Anafi, infatti, è stato messo a punto un nuovo indice economico denominato IES, acronimo che sta per Indice Economico Salute.
Il nuovo indice – che affianca, non sostituisce l’Indice di selezione nazionale – è un indice che stima un bilancio economico dell’intera vita produttiva dell’animale tenendo conto dei ricavi attesi (latte, grasso, proteine) e dei costi per accrescimento, mantenimento, produzione, oltre alle perdite dovute alle problematiche sanitarie più diffuse quali infertilità, mastiti e via dicendo.
Per il suo sviluppo – spiegano all’Anafi – sono stati utilizzati valori economici medi di mercato e gli indici genomici dei vari caratteri, con l’obiettivo di stimare le differenze tra gli animali.
L’indice IES sarà espresso in euro come differenza economica attesa dei singoli soggetti (o delle figlie dei tori) rispetto alla base genetica di riferimento.
Il nuovo indice (che verrà continuamente aggiornato, tenuto conto anche di eventuali mutamenti dello scenario macroeconomico) sarà pubblicato per i tori di fecondazione artificiale e per le bovine con indice genomico.
IES, dunque, ma non solo. Il cantiere della selezione nazionale sta lavorando per la messa a punto di nuovi indici genetici per benessere animale, resistenza alle malattie, efficienza alimentare, stress termico, impatto ambientale, oltre a un miglioramento dell’attuale indice caseificazione.
Tutti attrezzi che saranno utilissimi per plasmare una Frisona italiana al passo con le nuove sfide che ci stanno davanti. E, possibilmente, per dare una identità sempre più precisa e riconoscibile al latte (e, magari, anche all’allevamento) italiano.