Sensori e sanità della mammella: cosa fare dopo un allarme?
Si sa che tanto prima noi riusciamo a individuare un’infezione, tanto più è in genere facile, risolverla, con un evidente riflesso sulla possibilità di ridurre l’uso degli antibiotici, ridurre la spesa per il costo del trattamento e la perdita dovuta al latte di scarto.
I sensori per il monitoraggio della sanità della mammella è uno dei punti più avanzati della zootecnica di precisione, anche se ancora di strada ce ne è da percorrere.
Secondo i dati riportati dalla letteratura scientifica più recente, la percentuale di sensibilità (la capacità di individuare i soggetti malati su una popolazione di ammalati) va dal 21% al 90%. Un po’ meglio per la specificità (quanti soggetti sani sono riconosciuti sul totale di soggetti sani), per la quale si va dal 50% al 90%.
Di questo si è parlato in un recente convegno (clicca qui) che aveva lo scopo di fare il punto sulle sinergie tra sensori e analisi di laboratorio per il controllo delle mastiti. Un lavoro che, tra le altre cose, ha previsto la raccolta e l’analisi di dati di quattro aziende lombarde con robot di mungitura con particolare riferimento al loro grado di accuratezza verso la individuazione precoce di stati patologici della mammella.
Tra le verifiche fatte c’era anche quella sugli allarmi di sanità della mammella mediante analisi di laboratorio per cellule totali e cellule differenziali. E scelti a caso tra i segnalati con allarme si è andati a fare anche un’analisi microbiologica quarto per quarto.
La variabilità è stata confermata. Per un dato mediamente buono della specificità dei sensori per la sanità della mammella fa da contraltare una sensibilità, ossia la capacità dei sensori di individuare gli animali malati, ancora su percentuali basse.
Questo pone sul tavolo il problema della valutazione dell’accuratezza di questi sistemi. E vale per la generalità, non c’è un problema legato a una marca o un modello o un altro.
Che cosa vuol dire tutto questo nella pratica?
Sicuramente questo tipo di errore, che – come visto – può essere anche piuttosto grande, crea difficoltà operative nella stalla.
Perché?
Un esempio numerico lo chiarisce molto bene, ipotizzando un dato che abbia una sensibilità del 99% o dell’80%.
Considerando una stalla di 100 bovine e 2,7 mungiture al giorno di media, con una specificità del sistema del 99% avrò circa 630 falsi positivi (cioè soggetti che sono in allarme, ma che sono sani) in un anno. Il che significa 2 falsi positivi al giorno.
Situazione questa assolutamente gestibile sul lato pratico, se consideriamo di andare a prelevare il latte da questi soggetti e inviarlo al laboratorio per le analisi del caso.
Se passiamo però a una specificità dell’80% avremo 12.600 falsi positivi all’anno, quindi 35 falsi positivi al giorno che dovremo verificare, perché segnalati come possibili soggetti con mastite.
Cosa impossibile a farsi nella pratica, tanto più se consideriamo numeri di bovine superiori.
Ecco dunque che gli allevatori, non solo in Italia ma in tutto il mondo, per questa ridondanza di segnalazioni date dalla macchina, tendono a non considerare gli allarmi. Ciò toglie credibilità al sistema di allarme presente e comporta il fatto che si vada a sottovalutare l’allarme medesimo, sottostimando così il problema sanitario all’interno della stalla.
Il problema verrà superato probabilmente nel tempo grazie alla tecnologia che si perfezionerà sempre di più, ma anche per lo sviluppo di protocolli pratici per riassumere azioni che permettano di unire l’informazione ricevuta e valutarla incrociandola a situazioni e specificità della singola stalla.
Pertanto nel momento stesso in cui si adotta questo tipo di tecnologia si dovrebbe sviluppare – tra l’allevatore, il suo consulente o il suo veterinario – un protocollo aziendale che codifichi cosa fare dal momento dell’allarme in poi.
Non è possibile, infine, pensare che la stessa tecnologia, e quindi l’informazione che genera, possa indurre lo stesso tipo di comportamento nelle diverse aziende, dato che la tecnologia è la stessa, ma misura situazioni che sono biologicamente e managerialmente diverse tra loro.
Una buona notizia, a questo proposito, è la prossima uscita ad opera dell’università di Milano, di linee guide per la valutazione degli allarmi per aiutare a gestire al meglio e soprattutto capire cosa sia possibile ottenere e cosa no da questi sensori.