Tra i tanti fattori critici (diciamo pure la polvere sotto il tappeto accumulata negli anni) che la crisi attuale ha fatto emergere con chiarezza e anche brutalità c’è quello dell’approvvigionamento delle materie prime per alimentare le nostre filiere agroalimentari.
Semplicemente si è visto (lo si sapeva già, ma si faceva come se la questione non dovesse mai porsi) che la dipendenza dalle importazioni è arrivata un punto tale da diventare un serio problema.
E un serio problema lo è davvero, perché è abbastanza chiaro che in Italia di bisogno ce ne è tanto, che la terra è poca e che la competizione tra le filiere alimentari e quelle zootecniche, ma anche all’interno delle diverse filiere zootecniche, potrebbe farsi feroce.
Potrebbe scatenarsi a breve una competizione ulteriore per la terra: non solo tra il food e il feed, ma anche all’interno del feed. E non consideriamo per decenza il silomais per il biogas, che era bestemmia allora e lo è ancora di più oggi. Ma anche qui c’è poco da essere allegri: la fame energetica crea idee finanziarie per creare energie “pulite” e quindi non è da escludere una competizione a tre: food, feed ed energia per la terra.
Non solo, si tocca con mano una criticità ulteriore: le siccità ricorrenti sono una spada di Damocle per tante aree, specie quelle a sud del Po.
La mancanza d’acqua è un fattore critico reale. La carenza di invasi in area appenninica, bloccati da continui rinvii e obiezioni in nome di vari e pittoreschi interessi ambientali, è un grosso problema, che si aggiunge alla poca terra a disposizione.
Le coltivazioni estive, di fatto, stanno diventando sempre più difficili da realizzare in tante aree, anche del nord. Insomma, non basta dire che facciamo più mais per averlo.
Dunque, è come nel gioco della sedia: meno sedie rispetto alle coppie che ballano: finita la musica qualcuna resta in piedi ed è fuori dal gioco.
Torno alla competizione tra le varie filiere: serve più grano per l’industria alimentare se viene meno in parte la via dell’importazione, per fare un esempio.
Ma anche tra le filiere zootecniche, suini e polli hanno enormi esigenze di cereali e proteici, di mais, di soia, di sorgo.
Quindi, non solo una questione di prezzo. Sul tappeto si prospetta una questione di disponibilità in quantitativi adeguati di materie prime.
Stando così le cose, di certo resta un fatto: la vacca da latte è un ruminante. Banale, certo, ma qui passa una via di uscita: puntare al massimo sui foraggi, aumentando le produzioni e, soprattutto, aumentandone la qualità.
Dai foraggi può arrivare una risposta, e dai foraggi che possono essere raccolti in aree non utilizzabili per altre coltivazioni, per le quali la concorrenza sarà assai alta.
Questa attenzione credo debba essere massima non solo per la singola stalla, ma anche per i Consorzi delle varie Dop, specie quelle che fanno dei fieni locali il loro punto di forza.
Potrebbero diventare i catalizzatori di iniziative volte al miglioramento di prati e pascoli, delle tecniche di raccolta e conservazione, per singola azienda o per realtà aggregate, per fare più quantità e più qualità.
Banalmente, serve più fieno in cascina, perché sul resto non si sa bene come finirà.