Sostenibilità del latte prodotto o sostenibilità dell’azienda?
Se pensate che le due cose siano equivalenti siete in errore. Perché – ragionando in termini quel mosaico di fattori che definiscono la sostenibilità ambientale di una attività produttiva – le strade divaricano o possono divaricare se si considera l’unità di prodotto o l’azienda.
E, quindi, potrebbe benissimo esserci la situazione per cui, a seconda di come la faccenda la si guardi, ma soprattutto a seconda di come tecnicamente la si misuri, si può passare dalla parte dei buoni o dei cattivi.
Arzigogoli da azzeccagarbugli? Assolutamente no.
Di questo si è parlato a Cremona in Fiera in un convegno estremamente interessante a tema sostenibilità, con tanti spunti su cui torneremo.
Torniamo a noi.
È chiaro che quanto più “intensiva” è la stalla, ossia quanto più latte produce per una data cifra di “ambiente utilizzato”, la sostenibilità di quel latte sarà maggiore.
Maggiore, ovviamente, di quella stalla da latte che, a parità di ambiente utilizzato, di latte ne produrrà, ad esempio, la metà.
Questo è evidente, e nessuno può contestarlo. Se io porto nello zaino 20 bottiglie da un litro di latte dal punto A al punto B, farò più fatica che a portarne 10, sicuramente. Ma se dividessi la fatica che faccio per ogni bottiglia di latte, il carico di fatica unitario in carico a ogni bottiglia sarebbe inferiore per la tratta da 20 rispetto a quella da 10.
Quindi siamo apposto? Più intensivi (e razionali) vuol dire più sostenibili?
Calma, perché se cambiamo la prospettiva, e consideriamo non l’unità di prodotto ma l’azienda nella sua interezza, il discorso può cambiare e anche ribaltarsi.
Infatti, quando la sostenibilità di un prodotto si valuta attraverso l’impatto in termini di emissioni di CO2 per unità di prodotto (metodo LCA) e quando invece la sostenibilità di un’azienda si valuta attraverso il bilancio energetico in termini di surplus/deficit di capitale naturale per unità di superficie (metodo EF), non è detto che un azienda più sostenibile faccia un prodotto più sostenibile, e viceversa.
Infatti, è innegabile che un incremento dell’impatto ambientale, indipendentemente dal suo effetto sulla produttività, peggiori la situazione ambientale. E, quindi, bisogna considerare quale è la situazione ambientale di partenza.
Torniamo, per capirci, al carico di bottiglie nello zaino. Se chi porta lo zaino è stanco morto, indebolito da un digiuno prolungato e ha pure mal di schiena, per lui sarà più sostenibile portarne solo 10 di bottiglie, e non 20, un carico che, nella sua situazione, potrebbe essere eccessivo.
Dunque?
Dunque, quando si parla di sostenibilità (e se ne parla eccome in questi tempi) dobbiamo metterci d’accordo su quale riferimento prendere. E non solo noi, ma anche chi prenderà decisioni a livello politico.
Ma ancora non è tutto, perché non è detto che sia solo uno o l’altro dei due paradigmi quello corretto per tutta Italia, isole comprese.
Perché, ad esempio, in aree ad alta concentrazione zootecnica, è verissimo che ogni input di ambiente usato è tradotto in un latte (o carne) più sostenibile perché richiede meno ambiente per unità prodotta, ma il peso complessivo di tutte le aziende del comprensorio sull’ecosistema è già talmente alto da rendere problematici ulteriori accrescimenti.
In questo caso potrebbe essere più indicativa la prospettiva della sostenibilità aziendale e su questo si dovrebbe lavorare per diventare più virtuosi.
Laddove invece la concentrazione delle attività zootecniche sull’ambiente fosse meno pesante, ecco allora che si potrebbe tenere il riferimento della sostenibilità del latte prodotto.
Sarebbe stato sufficiente applicare alla lettera il limite di 170kg di azoto/ha….. saremmo stati sostenibili, staremmo prendendo più di 50€cent per litro di latte lavorando molto meno con una qualità della vita superiore! Invece ci siamo ridotti ad lavorare come più nessuno nel 2021, 365 giorni l’anno per pagare mutui e fatture sempre più pesanti per la gioia di fornitori di stalle, tecnologia e mangimi!