Torno sull’argomento di ieri, perché credo meriti qualche dettaglio ulteriore. Si mostrava una stalla per le manze “minimal”, fatta da un tunnel e da tanto spazio, coperto e soprattutto scoperto.
Ora, una prima considerazione, di caratteri generale. Tutto quello che trovate qui – l’ho detto tante volte – non è ovviamente una certificazione di verità assoluta su un dato modello o concetto applicato.
Semplicemente, partendo dal fatto che è sbagliato (e un po’ stupido) pensare che esista un solo modello di zootecnia, propongo situazioni che trovo girovagando per stalle e luoghi affini e che reputo interessanti. Non solo. Validate dall’esperienza pratica di coloro che le hanno attuate e, spesso, anche pensate e adattate.
Trovo situazioni spesso molto diverse, anche opposte, eppure tutte ugualmente soddisfacenti in quella data situazione, fatta dalla combinazione di persone, strutture, terra, idee che fanno un’azienda e che la rendono unica. Unica, ma con spunti e idee che qua e là potrebbero essere prese a prestito, in tutto o in parte, adattate e valutate.
Quindi, arriviamo alla stalla minimal per le manze. Un tunnel e tanto spazio. Questo il modello per tutti? Nemmeno per sogno. Ho visto (e riportato diligentemente su questo Blog) fantastiche stalle per la rimonta. Ma nemmeno dico che il modello sempre e in assoluto è questo. Semplicemente i modelli sono tanti, e ognuno deve avere la sapienza di scegliere il suo.
Torniamo al tunnel e a tutto il resto. Questo approccio minimal è inserito in un’idea di allevamento a basso input seguita in questa stalla: animali rustici, massima sanità, minimi problemi, altissima durata in stalla, bassa necessità di rimonta, tanto spazio a disposizione, tutta la terra “coltivata” a prato stabile.
E, ancora: quasi completa autosufficienza alimentare (200 capi in mungitura e razionamento basato su silo-erba e pochi kg di pastone di mais – acquistato – solo per i gruppi delle fresche, per il resto solo silo-erba, e poi il mangime per i vitelli). Nessun acquisto di fertilizzanti, solo deiezioni. Minima spesa per farmaci, consumo di antibiotici irrisorio.
Sensori su manze e vacche per avere sempre sotto controllo gli animali con i vari indici di banessere e salute. Certificazione biologica prima e biodinamica poi, cosa che assicura un prezzo più alto del latte rispetto al listino del biologico.
Certo, produzioni basse (ca 60 quintali) se confrontate con stalla ad alto input, ma in linea con l’idea di allevamento che hanno qui. E poi è il margine quello che conta.
C’è ancora qualche dettaglio, tornando alle manze e al paddock.
Partiamo dall’estate. Una parte delle manze, quelle con il parto più in là da venire, va in alpeggio. Restano in stalla quelle più vicine al parto. Per queste manze c’è accesso a un pascolo di 10 ettari (vero pascolo, quindi con funzione anche alimentare), che condividono con le vacche asciutte.
Con esse condividono anche la struttura a tunnel che fa da ricovero.
A circa tre settimane dal parto sono portate nella zona di asciutta presente nella stalla, contigua al settore di lattazione e, quindi, nei box parto.
Nei mesi invernali le cose cambiano un po’: il pascolo è chiuso, le vacche fanno l’asciutta nel settore di asciutta visto poc’anzi, e le manze hanno comunque a disposizione un’area a prato-paddock di 9000 mq.
Uno spazio ampio, per il carico animale che deve portare, che permette al terreno e al cotico di tenere, anche in caso di piogge.
Ultima cosa: all’interno di questo spazio ci sono alcuni rilievi fatti artificialmente, delle mini-colline fatte con la terra di riporto proveniente dagli scavi per l’impianto di biogas.
Non una brutta idea, dato che in questo modo si ha sempre comunque dello spazio calpestabile libero da ristagni.
Chiudo: siamo davvero sicuri che con l’aria che tira un modello del genere sia davvero così arretrato?
Anche perché qui le vacche in lattazione, le zone parto, la vitellaia sono assolutamente razionali (vi metto qualche immagine). Molto meglio – per dire – di quel che si trova a volte e che è meglio far finta di non vedere.







