Stessa trincea, stesso insilato, stessa sostanza secca, giusto? No, sbagliato.
Quando il discorso va dalla razione teorica a quella pratica in genere i nutrizionisti – e non solo loro – hanno sempre da raccontare storie divertenti.
Storie di come ci sia un numero impeccabile, frutto di quanto più recente e dotto sia stato espresso dalle teste d’uovo che studiano la nutrizione nei suoi infinitesimi dettagli dinamici, e cioè il razionamento teorico, e poi ci sia un valore reale, quello che arriva sulla mangiatoia e poi alla bocca della bovina.
Qui, come per certi figli di paternità incerta, si cerca la somiglianza con il dato teorico, somiglianza che c’è o non c’è. Dipende.
Torniamo alla razione e parliamo di insilati. Cito uno di questi bravi tecnici che raccontava come, per una trincea di cereali autunno-vernini insilati, ci fossero differenze nella sostanza secca, nelle varie fasi di utilizzo della trincea medesima, decisamente importanti: nell’arco di un mese ballava un bel 10% di differenza, andando da massimi del 35% a minimi del 25% di sostanza secca.
Stesso insilato, stessa trincea.
È facile capire come, se questo dato non si conosce (ossia, non è rilevato con frequenza durante la settimana, il consiglio è 2-3 volte) e si mantiene il tal quale immutato nella razione, si pensa di dare alle bovine una miscelata, ma invece se ne dà un’altra. Reiterando ogni giorno questa possibile sfasatura, con la creatività che assicurano le variazioni di sostanza secca.
Se poi si cambia la trincea, stessa musica: qui citava una trincea di silomais nella quale si viaggiava su una media del 33-34% di sostanza secca, con oscillazioni dal 36% al 32%. Nella trincea successiva la media era del 30%.
Tutto questo per dire cosa? Semplice: conoscere il contenuto di sostanza secca di quanto si mette in razione non è – non dovrebbe essere – un optional, perché – specialmente con razioni ad alto contenuto di insilati – le differenze sono significative.
Si rischia di dare tante razioni diverse pensando di darne una sempre uguale.