Quando si parla di strategia si pensa sempre che sia cosa riguardante i massimi sistemi, le direzioni centrali, le teste d’uovo che decidono le sorti di organizzazioni produttive ampie e complesse.
Vero, ma anche vero il contrario.
Strategia è un termine che riguarda tutti: significa avere un’idea di ciò che si vorrà fare, essere o avere nel breve, medio e lungo periodo. Poi – come il Monopoli insegna – imprevisti e probabilità sono presenti ad ogni giro di tabellone, ma questo non vuol dire che si debba attendere supinamente il corso degli eventi come semplici spettatori.
Vale per la vita, ma vale anche per un’impresa.
Recentemente ho incontrato un allevatore (area Parmigiano Reggiano) con il quale la chiacchierata è stata interessante, per tante ragioni.
Una su tutte, a mio avviso. La sua sottolineatura che artefici del proprio destino e delle fortune e sfortune delle proprie aziende sono, prima ancora che le organizzazioni, la politica, le grandi dinamiche mondiali, gli stessi allevatori.
Perché è vero che il contesto non aiuta e, anzi, non di rado fa di tutto per fare affondare la barca, ma è anche vero che spesso, questa barca, non ha un timone. O, meglio: il timone ce l’ha, ma non ha una direzione. Non ha una strategia.
Non ha cioè – dice questo singolare personaggio – una visione chiara e ragionata su ciò che vorrà essere nel prossimo futuro e su come a questo traguardo potrà arrivare, quali investimenti saranno necessari, quali sono i suoi punti deboli (da correggere) e quali i punti di forza (su cui puntare).
È tutto un generico attendersi soluzioni proposte e confezionate da altri.
Non che questo non conti, intendiamoci. Ma – osserva l’allevatore – dobbiamo essere noi a metterci nella condizione di essere cercati dall’industria e non viceversa. Solo così si creano le condizioni per trattative interessanti.
Già, e come?
Semplice, si fa per dire: producendo un latte che si differenzi nettamente dal resto del latte che circola nei “lattodotti” mondiali.
Certo, bisogna avere le idee chiare e, appunto, una strategia, perché il lavoro richiede tempo.
Ad esempio bisogna fare una scelta di campo e decidere – come nel caso in questione – che la stalla si specializzerà per fare latte da caseificazione. Presa questa decisione è stata impostata per anni una strategia di selezione della mandria a tappeto, senza se e senza ma, per avere il massimo numero di soggetti portatori del gene BB della K caseina. E ora anche l’allele B della beta-lattoglobulina è nel mirino.
Questa è stata, ed è tuttora, la stella polare nella scelta di ogni toro, accompagnata dall’attenzione anche tutti gli altri componenti del latte con un ruolo attivo sulla resa casearia del latte prodotto, che deve essere la più elevata possibile.
E si studia con attenzione la ricerca in questo senso per partire subito con nuovi parametri selettivi che dovessero emergere, perché i tempi della selezione non sono brevi, e solo chi parte in anticipo arriva in orario all’appuntamento.
Un lavoro paziente, che ancora adesso non paga completamente, mi dice l’allevatore, ma paga, perché il latte di questa stalla è un vero e proprio latte da formaggio, come riconosce (anche monetariamente) il caseificio.
Al punto che il nostro acuto allevatore tratta sul mercato direttamente con questo o quel caseificio che fa Parmigiano Reggiano (era in un caseificio sociale, si è tolto anni fa per giocarsela sul mercato), senza un legame specifico con questo o quello e nella trattativa non si parla solo di centesimi al litro, o, meglio, non solo.
Perché la parte industriale sa di avere un latte diverso, fa i suoi conti e si trova facilmente una soddisfazione reciproca. Non tra avversari in guerra, ma tra partner con un unico obiettivo: fare un formaggio ottimo e – proprio per questo – venderne il più possibile.
Ora. Questo è un caso particolare, ma indica come una strategia sia possibile – anzi, necessaria – anche a livello di singola azienda, per non essere totalmente in balia degli eventi.
Può essere la scelta di avere il miglior latte possibile per la caseificazione, ma potrebbe essere anche quella di avere un latte con caratteristiche nutraceutiche specifiche per qualche nicchia speciale di latte da consumo.
Se poi il progetto coinvolgesse più di un’azienda vicina, con il coordinamento di scelte alimentari, genetiche, gestionali per un obiettivo comune, si potrebbe creare un mini distretto con una produzione di latte ben definita e diversa dall’ordinario, appetibile per materia prima fornita e logistica di ritiro, da trattare sul mercato in una posizione di maggiore forza e dignità.
Quando si è al comando della nave bisogna scrutare l’orizzonte. Navigare sperando semplicemente che non ci siano scogli non basta più.