Il Poeta non se ne avrà a male per un titolo che prende a prestito la sua famosa poesia sul pio bove, sul mite sentimento di vigore e di pace che al cor infonde e compagnia bella.
Del resto il pio bove c’entra nella questione, perché nel medesimo – più precisamente nel rumine del medesimo – trova posto con una frequenza in crescita uno strumento importante per garantire all’animale una condizione fisiologica e sanitaria ottimale: il bolo, appunto.
Il vantaggio di questo strumento è, in particolare, la possibilità di intervenire una sola volta con un presidio che agisce nel tempo, con quantitativi definiti e precisi giorno dopo giorno, senza dipendere dalla volontà, estro, capacità che caratterizzano un intervento umano.
Del resto per assecondare le necessità energetiche, minerali, vitaminiche di bovine da latte sempre più performanti per tutto il loro ciclo produttivo, in particolare nelle finestre metaboliche più critiche, ciò che c’è in mangiatoia serve eccome, ma quasi sempre non basta, specialmente se si parla di sostanze necessarie in piccole, ma indispensabili quantità.
Un bolo mirato dentro il rumine garantisce il rispetto esatto di queste quantità, con risultati di efficacia fuori discussione e una effettiva possibilità di ridurre il consumo di farmaci per porre rimedio a situazioni critiche che potrebbero essere ridotte a monte con integrazioni mirate.
Certo, non basta dire bolo: anche in questo caso, oltre alla composizione specifica e alle caratteristiche delle singole sostanze attive, c’è una tecnologia di produzione a monte che fa la differenza in termini di efficacia in stalla.
Insomma, “t’amo pio bolo” può anche starci, ma solo dopo avere visto bene quello che c’è dentro e come è stato prodotto.