Non è certo una gran scoperta dire che una Dop è legata a un territorio ben definito. E, continuando, sempre sulla stessa lunghezza d’onda quasi banale è il concetto che la zootecnica da latte italiana è una zootecnia da latte che dipende in maniera strategica dalle Dop, dalla loro tenuta, dalla loro capacità di generare un valore superiore a quello della semplice equazione casearia tra latte e formaggio.
Solo continuando a generare questo valore superiore si potrà resistere e crescere in un sistema Paese come il nostro con poca terra, tanti investimenti e costi di produzione alti.
Anzi, ormai la situazione (e la prospettiva) è quella di costi ancora più alti. Tante incertezze si vanno affastellando anche sulla effettiva disponibilità nelle quantità necessarie di materie prime indispensabili per l’alimentazione. Sappiamo bene che, se la cosa non è così tragica per i foraggi, la dipendenza dalle importazioni è assai critica per cereali e oleaginose.
Quindi?
Quindi diventa imprescindibile accrescere la produzione nazionale di tutto ciò che serve.
Ma qui viene il bello.
Perché non allargare anche alle produzioni cerealicole e proteiche lo stretto legame con l’area di origine della Dop? Cioè: allargare agli agricoltori il patto di valore che le Dop riescono a generare per il latte e i formaggi. Così, in questo scenario ideale, chi fa mais, frumento, orzo, soia, girasole e così via nell’area del Parmigiano Reggiano, per fare un esempio, lo fa confluire solo per l’alimentazione delle vacche del territorio. per semplificare: non mais, ma mais da Parmigiano Reggiano; non soia, ma soia da Parmigiano Reggiano, e così via.
Di fatto, uscendo dal limbo delle commodity, così come il latte da Parmigiano Reggiano non è latte commodity.
Magari – meglio ancora – scegliendo e certificando protocolli agronomici avanzati, ad alta sostenibilità.
Un progetto così implementato sarebbe una classica situazione win-win: più cereali e oleaginose proteiche per le stalle, in una prospettiva di difficoltà di approvvigionamento, perché chi produce si impegna a tenere sul posto la sua produzione “Dop”; un legame ancora più forte del formaggio Dop con il suo territorio e possibilità di trattenere sul territorio medesimo una porzione maggiore del valore.
È un ragionamento che il presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano sta proponendo da un po’ di tempo e direi proprio che va nella direzione giusta per partire da un problema (quello della crisi ucraina e del conseguente effetto su prezzi e disponibilità di alimenti dal mercato) e arrivare a definire un progetto valido e di prospettiva per i prossimi anni.