In Italia importiamo ogni anno l’80%-90% del fabbisogno di soia, il 30% del fabbisogno di mais, il 50%-60% del fabbisogno di grano tenero, il 30% del fabbisogno di grano duro. E si potrebbe continuare declinando il tema su altre voci minori e, pure, sorvoliamo sul fatto che si fatica a tenere botta sul tema del no ogm come tratto distintivo del made in Italy quando la soia straniera è così tanta.
Sono percentuali che fanno pensare, perché, se da un lato di celebrano sul versante politico-ministeriale i trionfi del made in Italy agroalimentare, dall’altro poco si sottolinea come questo castello sia costruito su un terreno sempre più friabile e incerto. Come quelle case che crescono ripiano in piano senza fare troppa attenzione alle fondamenta, alle travi portanti, alla tenuta complessiva di un edificio che grava su una base sempre più ridotta.
Poi arriva la piccola – o meno piccola – scossa di terremoto e crolla tutto.
Bando agli allarmismi e al pessimismo, ma cosa succederebbe al castello del made in Italy agroalimentare tricolore, con etichetta o meno, se arrivasse qualche “scossa” tellurica tipo un blocco negli approvvigionamenti di soia sui mercati internazionali, o di mais, o di grano eccetera? Tanto più che la popolazione mondiale cresce, la domanda di alimenti aumenta e aumenterà e le quantità a disposizione per gli scambi internazionali saranno sempre più contese (e quindi onerose, senza considerare gli aspetti qualitativi e di tipicità territoriale).
Altra situazione da non sottovalutare: e se le condizioni climatiche che ora ci paiono eccezionali divenissero la regola, abbattendo la già gravemente insufficiente produzione nazionale?
C’è qualcuno che, mentre esalta i successi di quel che produciamo (ma soprattutto trasformiamo) lavora su un piano B, ossia percorsi in grado di garantire al made in Italy agroalimentare un futuro meno legato alle incertezze delle importazioni?
Alcune linee di azione per accrescere le potenzialità produttive internazionali, e soprattutto nazionali, riportate recentemente in un’interessante nota di Alessandro Bozzini sul sito della Accademia dei Georgofili, di cui riporto le indicazioni finali.
Eccole.
A livello agronomico, con tecnologie che permettano di ottenere l’incremento della sostanza organica nei terreni agrari, oggi ridotta ad esempio in Italia a livelli dell’1%- 1,5% dai 3,0% – 3,5% di 30-40 anni fa. Tale incremento aumenterebbe la fertilità del terreno così da anche intrappolare per molti anni nel suolo la CO2 (riducendo l’effetto serra nell’atmosfera).
A livello ambientale
– Cercando di adattare le piante e gli animali all’ambiente di residenza e non viceversa, come finora generalmente perseguito.
– Con l’introduzione della pluriannuità nei più importanti cereali, leguminose da granella ed oleaginose si aumenterebbero la sostenibilità e l’economicità delle coltivazioni.
A livello biologico
– Con nuove recenti tecnologie di vaccinazione delle piante si potrà aumentare la resistenza contro vari parassiti.
– Con l’introduzione nei cereali ed oleaginose (possibilmente perenni) di microflora utile (micorrize e batteri azotofissatori simbionti, anche trasmissibili per seme) si potrà aumentare l’economicità delle coltivazioni.
A livello biochimico e nutrizionale
– Con l’introduzione di varietà resistenti a sostanze dannose (sali, elementi velenosi ecc.) si potrebbero usare territori oggi non utilizzabili.
– Con l’arricchimento dei vegetali eduli con aminoacidi essenziali, vitamine, microelementi e sostanze nutraceutiche si potrà incrementare l’uso di frutta e verdura nella nutrizione umana, in parziale sostituzione di alimenti di origine animale.
A livello economico
– Con la limitazione delle perdite dei prodotti alimentari pre e post raccolta si potranno rendere utilizzabili alimenti ora non usati.
– Con lo sviluppo di varietà e tecnologie che permettano un uso energetico e/o farmacologico dei sottoprodotti delle colture alimentari.
Mi sembra che ogni discorso sul nostro glorioso made in Italy che non tenga in considerazione questi punti sia zoppo e trascuri (colpevolmente) l’insidia delle fondamenta e delle travi portanti a cui si accennava in esordio.
Per carità, sicuramente continuerà a farcela per anni e decenni, ma meglio pensarci per tempo e non aspettare che i problema si ponga realmente.
L’esperienza recente insegna: mai rischiare tutto agli spareggi.