Ci sono risparmi nel costo di alimentazione che si possono avere senza necessariamente andare a peggiorare il livello qualitativo della razione.
Anzi.
Quello che serve è un aiuto al rumine, affinché riesca – o meglio, riescano i suoi batteri ruminali – a degradare una quota maggiore di fibra e amido nella quantità eterogenea che arriva dalla mangiatoia.
Fibra che, vista l’estate appena passata, sarà spesso un brutto cliente a livello ruminale.
Un conto, infatti, è che i nutrienti siano presenti nella razione a livello teorico. Un altro è che effettivamente finiscano assorbiti dall’intestino e non finiscano invece, in parti anche tutt’altro che trascurabili, nella fossa delle deiezioni, perché in grado di superare indenni le soglie digestive dell’animale.
Dico questo perché l’esperienza di un’azienda che ho visto da poco – certo, in compagnia di un tecnico di un’importante azienda che produce integratori, quindi una compagnia non neutrale – dimostra che, a parità di razione, un aiuto naturale a qualche ceppo mirato della sterminata popolazione microbica ruminale può significare molto in termini di efficacia nella trasformazione.
Sicuramente più del costo del prodotto utilizzato. Nel caso specifico, secondo calcoli fatti in loco dal veterinario che segue la stalla, l’equivalente di 1,5-2 kg di fieno e 7-800 grammi di amido/capo/giorno.
Quantitativi verificati analizzando l’indigerito delle feci che tra il prima e il dopo integrazione (un pool mirato di lieviti e ceppi batterici) mostrava appunto queste differenze.
Un recupero di energia importante, che la bovina può trattenere e usare per fare latte o condizione corporea; una riduzione di inquinamento; un miglioramento complessivo della sanità ruminale e quindi della sanità generale.
Certo, l’integratore in questione è tecnologicamente molto evoluto, prova ne è che nell’azienda in questione ha dato risultati ben superiori ad uno simile usato in precedenza.
Certo, i prodotti tecnologicamente più evoluti hanno un costo. Ma c’è una tecnologia dell’integrazione che avanza e mette a disposizione prodotti in grado di massimizzare l’efficacia ruminale, recuperando quote energetiche che andrebbero altrimenti perdute e permettendo di dare di più, in termini nutrizionali, a parità di ingestione.
Una prospettiva importante in un ottica di recupero sempre più marcato di alimenti “difficili” per l’alimentazione animale, lasciando quote maggiori di quelli più nobili alle necessità di una popolazione che cresce e pone nuove transenne etiche all’utilizzo di terra, acqua e cibo.
Un costo, certo, ma che si ripaga ampiamente. A patto di saper misurare, confrontare e valutare sui numeri più che sulle impressioni.
Sarebbe il caso di definire una volta per tutte come investimento, quello che da troppi è chiamato appunto, costo dell’integratore…