Non sempre le storie sono a lieto fine. A volte, infatti, capita che il finale lasci l’amaro in bocca.
Il settore suinicolo italiano ha vissuto anni fa una vicenda che molti ricorderanno e che ha assonanze, nel nome e nell’aggettivo, con un’altra vicenda all’ordine del giorno.
Ebbene, cosa mai era questo Gran Suino Padano? Nient’altro, si fa per dire, che un marchio e un impegno di filiera per dare valore a tutta la carcassa del suino pesante, al di là delle cosce. Questo perché solo con un adeguato riconoscimento della differenza dei tagli di suino pesante nazionale rispetto ai similari di importazione, grazie a un marchio e tutto il resto, si sarebbe potuta recuperare redditività aggiuntiva per la filiera, allevatori in primis.
Come noto la faccenda del Gran Suino Padano è naufragata miseramente.
Tra le ragioni, sicuramente un grosso peso ebbe il fatto che l’industria, all’interno di questa filiera, aveva un piede nel Gran Suino Padano, un altro nel resto della carne suina indifferenziata di importazione.
Come può un soggetto che è con un piede al freddo e un altro al caldo decidere la temperatura giusta nella stanza? Ovvio: la regolerà a suo piacere, di volta in volta, verso il caldo se prevale il freddo e verso il fresco se prevale il caldo.
Esempio un po’ stupido, è vero, ma è per sottolineare il fatto – dimostratosi esiziale – che se in una cordata qualcuno è libero di sganciarsi e fare per conto suo quando ritiene di andare in una direzione, o tornare in cordata quando gli serve, difficilmente avrà la tenacia per impegnarsi al massimo nel percorso della cordata medesima, perché avrà sempre la possibilità alternativa di muoversi in base alla convenienza.
La sua, non quella del resto del gruppo.
Ebbene, il Gran Suino Padano, anche per la ragione che c’era chi poteva indifferentemente fare marchiato e fare generico, ha fatto la fine che ha fatto.
Ovviamente se qualcuno avesse trovato similitudini con la questione del Grana Padano è solo perché ha una fervida immaginazione…