Questa è la tempesta perfetta, tanto perfetta che nessuno avrebbe potuto scrivere un copione così terrificante. L’alluvione di latte ha allagato il mondo, l’Europa è sommersa e il rischio di annegare è alto. Nuotare in questa marea di latte che sembra impossibile fermare è difficile per tutti, anche per quelle aziende che hanno tutto in ordine e hanno ben poco da razionalizzare ulteriormente.
In questo mare tempestoso, come meduse pronte a ustionare, galleggiano cagliate di ogni tipo e origine, che da nord a sud scivolano nel nostro povero Paese…
A proposito, una volta un tale mi fece un paragone idraulico interessante: “L’Europa – disse – è come un grande lavandino (veramente era un altro il sanitario di riferimento, meno nobile ma non meno utile, usufruibile per lo scopo dell’esempio in posizione seduta) dove c’è di tutto. Il peggio, per gravità, finisce nel sifone. E L’Italia, per la sua posizione e per le capacità di chi la rappresenta altro non è che il sifone d’Europa, dove finisce tutto quanto non si sa dove mandare”.
Torniamo a noi e alla quantità di cagliate che arrivano. Sono tante, sono economiche, e non sono tutte quante delle schifezze. Un tecnico di caseificio mi diceva che hanno il grande vantaggio di essere un prodotto stabile, facile da lavorare, non soggetto a fluttuazioni continue nel comportamento come il latte, che ogni giorno è una storia diversa.
Però hanno un peccato originale che non si può smacchiare: vengono da chissà dove. Questo “chissà dove” può spaventare il consumatore e va speso al meglio in termini di comunicazione, per spingere il consumatore verso un origine 100% italiana del prodotto.
Già, ma chi deve fare questo lavoro? La politica? Ah ah ah. L’industria? Ah ah ah. La Grande distribuzione? Ah ah ah. Perché mai dovrebbero farlo? Ognuno ha suoi interessi da difendere e non coincidono con quelli di chi produce latte.
Il 100% italiano deve essere spinto e comunicato da chi ora è con le spalle al muro: chi produce latte. Non aspettando chissà quando che chissà chi conceda un cartellone qua e là a favore del latte italiano. O che il blocco formidabile a norme severe di etichettatura passi e diventi realtà.
Chi fa latte deve organizzarsi e investire per travolgere il consumatore con campagne di comunicazione sistematiche, professionali, mirate, anche televisive o forse, soprattutto, che evidenzino i rischi della situazione attuale e la necessità di esigere il 100% italiano.
Se c’è una richiesta dal basso tutto il resto della filiera si adegua, volente o nolente.
Ma questo non basta. Si deve essere in grado di andare a verificare che laddove si vanta in etichetta l’italianità del contenuto non si raccontino frottole. Qui servono task force di tecnici in grado di fare un lavoro da segugi, analizzando prodotti, leggendo bilanci, decifrando movimenti in ingresso e uscita di materie prime e prodotti finiti. Un lavoro di intelligence, che richiede preparazione e razionalità.
E anche soldi, certamente. Ma anche – e soprattutto – nuove aggregazioni di produttori illuminati che uniscano forza, intelligenza e volontà per dare una prospettiva alla loro attività. E alla loro vita.
Senza aspettarsi alcunché da chi ogni giorno non pesta terra e merda, ma chiacchiere, ipotesi, incontri, tavoli presenti e futuri, proclami, dichiarazioni…
Siamo inondati da un mare di cagliate, e va bene. Ma, almeno, difendiamoci dalle teste di caglio.