Al canadese Andrew Campbell l’idea era sicuramente sembrata buona e l’ha messa in pratica con l’inizio del nuovo anno: ogni giorno condividere con i suoi 13mila followers su Twitter un aspetto della sua giornata di allevatore nella zona dell’Ontario. Essendo, infatti, appassionato del suo lavoro e avendo una grande cura delle sue bovine ci teneva a condividere con tutta la sua comunità virtuale questa passione e questa cura. E così, ogni giorno, un tweet con il quale evidenziava questo o quello, mostrando come può essere piacevole e affascinante questo lavoro.
Non l’avesse mai fatto.
Andrew Campbell è stato preso di mira da gruppi animalisti di varia osservanza, tutti uniti nella comune condanna all’allevamento e alle modalità di crudele sfruttamento verso gli animali con cui – dicono – esso si estrinseca nella pratica di ogni giorno.
Esattamente quello che Andrew voleva confutare, twittando quotidianamente la realtà della sua stalla.
Niente da fare.
Il fiume della contestazione cibernetica è andato crescendo, inviando sull’hashtag #Farm365 accuse di immoralità e assassinio rivolte agli allevatori, fotografie strazianti di animali sfruttati o uccisi, prosa dolente su diritti degli animali a non essere usati come cibo e torti degli uomini che invece lo fanno. Insomma, il solito rosario di dolore animalista.
Una reazione che ha sorpreso lo stesso Andrew, che sottolineava come “l’animal care” sia una connotazione di migliaia di allevatori, allo stesso modo di quanto lo sia per gli attivisti dell’animalismo. E che l’impegno per gli allevatori deve essere dimostrarlo in maniera sempre più chiara ed efficace.
Ecco, qui sta il punto. Meglio portarsi avanti, anche da noi, lavorando per mostrare (perché no, anche riprendendo l’idea di Andrew Campbell) come stanno le cose e come certe accuse siano totalmente fuori dalla realtà.
Chi le lancia è minoritario, ma assai agguerrito.