È notizia di questi giorni: la Commissione ambiente dell’Europarlamento ha dato il via libera alla nuova normativa che prevede la possibilità per i 28 Stati membri di limitare o bandire la coltivazione degli ogm sul proprio territorio, anche se autorizzata a livello di Unione europea.
Una decisione accolta con grande soddisfazione da chi in Italia si oppone in ogni modo a queste coltivazioni e non perde occasione per sottolineare la fortuna di abitare, coltivare, allevare in un Paese che ha fatto del bando agli ogm senza se e senza ma una questione non negoziabile.
Certo, la comunità scientifica è molto meno granitica nel condannare gli ogm e, anzi, nella stragrande maggioranza, sostiene che probabilmente un approccio più possibilista sarebbe preferibile. Anche perché, a fronte di rischi incerti e non dimostrati, i vantaggi sono invece assai certi.
Questo è quello che devono aver pensato Matin Qaim e Wilhelm Klumper dell’Università di Gottinga in Germania, dopo essersi presa la briga di fare una analisi di tutti gli studi in lingua inglese dedicati all’impatto agronomico delle colture geneticamente modificate. Un lavoro di un certo peso, dato che hanno preso in rassegna il periodo compreso tra il 1995 e il 2014: ben 147 pubblicazioni.
Tra le conclusioni, quelle che riguardano le rese sono di sicuro interesse. L’uso di colture geneticamente modificate ha permesso di ridurre l’uso dei pesticidi del 37%; ha aumentato le rese del 22% e ha alzato i profitti degli agricoltori del 68%. Particolarmente avvantaggiati in questo i Paesi in via di sviluppo.
Proprio il dato sull’aumento del profitto degli agricoltori fa riflettere.
Da che mondo è mondo mai si era visto un sindacato battersi senza riserva contro una via per accrescere il reddito dei suoi rappresentati.