C’è una oggettiva difficoltà che ha chi produce una materia prima di vedersi riconosciuto un valore adeguato al costo per produrla e non, come succede, di essere pagato con un prezzo dato dalle fluttuazioni di un mercato che attinge materie prime ovunque può. E, in questo momento, può, eccome se può.
Chi produce materie prime, e per stare a noi, chi produce latte, non può più accontentarsi di fare semplicemente latte. Deve fare di più. Deve fare un latte che è anche altro e, proprio per questo, si discosta dal resto dell’offerta.
L’essere un’altra cosa è il primo passo per vedersi riconosciuto un valore in più rispetto al resto dell’offerta.
La differenziazione passa attraverso l’arricchimento della materia prima prodotta anche con qualità immateriali, non definibili in parametri microbiologici o merceologici ma, oggi più che mai, di grandissima importanza.
Prendiamo il benessere animale.
Produrre latte in stalle italiane a benessere animale garantito e certificato è senza dubbio un modo di differenziare l’offerta.
Un gruppo di stalle, o, meglio, un’associazione di produttori, può darsi un protocollo di produzione ad elevato benessere, se lo fa certificare da un Ente autonomo, crea un marchio proprio, lo promuova e metta sul mercato un latte che non è solo latte, ma latte certificato ad alto benessere animale.
Bisognerà pur cominciare a invertire il paradigma infernale. Passare dal solito ritornello: “Da domani potrei non ritirarti più il latte”, detto dal caseificio X, ma: “Da domani potrei non consegnarti più il latte, perché il mio latte certificato ad alto benessere ha un acquirente disponibile a pagarlo meglio”, detto al caseificio X.
Quello che colpisce ragionando sulla questione è che in tante stalle già si fa tutto quello che serve: gli ambienti sono ampi e curati, le spese per i farmaci sono basse, la gestione è improntata al soddisfacimento delle naturali esigenze degli animali, la conduzione agronomica è tarata sulla massima sostenibilità ambientale.
Si tratta solo di trovare un modo di ufficializzare questo e incardinarlo in un protocollo di produzione volontario e vincolante.
Peraltro sarebbe uno stimolo per chi ancora su questi livelli di benessere non c’è: adeguandosi al protocollo avrebbe anche il vantaggio di migliorare il suoi conti, perché in genere più in una stalla c’è benessere e razionalità di gestione e migliori sono i numeri.
Anche perché non passerà molto e tutto questo diventerà obbligatorio e verranno imposti standard di benessere animale senza i quali non sarà possibile consegnare il latte.
Una volta tanto giocando d’anticipo si potrebbe evitare di subire, come sempre, decisioni di altri.