L’euro si restringe e il dollaro si rafforza. Un trend destinato a continuare. Del resto la situazione economica dell’area euro e negli Usa è talmente di facile lettura da non lasciare margini di dubbio. Da una parte dell’Atlantico la vecchia Europa arranca, tra deflazione, recessione, disoccupazione, debiti pubblici che pesano come macigni, dubbi sulla tenuta dall’euro. Dall’altra l’economia a stelle e strisce viaggia a pieno regime e l’occupazione sale. Mettiamoci poi che la Bce potrebbe presto cimentarsi – più o meno – in quello che la Federal Reserve ha smesso solo ora di fare, ossia pompare allegramente denaro nei circuiti finanziari, e si capisce che i tempi del super euro sono finiti.
Nomi autorevoli prevedono addirittura il raggiungimento della parità dollaro-euro entro il 2016 e non si esclude che l’euro vada anche sotto.
Insomma, cambia drasticamente una componente chiave dello scenario economico mondiale che tanto ha influito sulle vicende dell’ultimo decennio.
Il passaggio dal super euro all’eurino avrà effetti anche sul settore del latte e per noi dovrebbero essere tanti i vantaggi.
Tanto per cominciare l’export dei nostri prodotti lattiero-caseari riceverà una bella spinta. Un euro che si indebolisce rispetto al dollaro renderà – dazi permettendo – i nostri prodotti sempre più competitivi sui mercati dove i prezzi si fanno in dollari. Considerando che la materia prima la si “produce” in euro il gioco è più che mai favorevole. Mettiamoci anche la svalutazione dell’euro nei confronti dello yuan cinese e si vede come anche su questo mercato asiatico le cose stanno prendendo una buona piega.
Grazie all’euro debole sarà più facile esportare anche per i grandi produttori di latte europei, così che quantità maggiori di prodotto (latte in polvere, latte per l’infanzia, formaggi vari) andranno in giro per il mondo senza ristagnare pericolosamente sul mercato interno.
È vero che non è ben chiaro quali effetti avrà il superdollaro sulle economie emergenti, che si vedranno costrette a restituire bond emessi in dollari negli anni belli ma che ora stanno diventando ben più onerosi da restituire.
Una situazione che potrebbe azzoppare la crescita di questi Paesi (alcuni dei quali poi fanno derivare molte delle loro entrate dal petrolio, il cui prezzo si è dimezzato negli ultimi sei mesi), che sono anche i mercati più interessanti per l’espansione del nostro export.
Certo, con un dollaro forte sarà più oneroso importare materie prime. Mais e soia, ad esempio. È vero che i prezzi attuali sono ben al di sotto delle soglie record del recente passato, ma ciò non toglie che il verificarsi di situazioni in grado di alterare le quantità sul mercato (ad esempio siccità in qualche area di forte produzione) potrebbe rimettere in moto un processo al rialzo che, abbinato al fattore monetario, acquisterebbe forza e peserebbe sui costi alimentari.
Infine, un’ultima considerazione maliziosa.
Scommettiamo che la trattativa sul Ttip, l’accordo di libero scambio tra Europa e Stati uniti, andrà incontro a nuove difficoltà?
Perché un conto è abbattere i dazi da tutte e due le sponde dell’oceano quando si ha una moneta competitiva, come era lo scenario fino a pochi mesi fa visto da Washington. Ma in poco tempo la situazione è cambiata e ora è la vecchia e sfiatata Europa ad essere ringalluzzita da una moneta sempre più competitiva, prodotti eccellenti da esportare e la prospettiva del succulento mercato americano pronto ad accoglierli senza barriere.